lunedì 25 agosto 2014

«Madame Bovary soy yo.»

Un aforisma che mi piace molto.

«Madame Bovary soy yo», dijo Gustave Flaubert. Gustave Flaubert es Carmen Martín Gaite, traductora suya.

Lo si trova in un librino scaricabile nella sezione El trujamán, del Centro Virtual Cervantes. Si intitola En pocas palabras. Apuntes de un trujamán. L'autore è Salvador Peña Martín.Le illustrazioni sono di Jaime Nieto, come quella qui sotto, usata per la copertina.

Ilustración de portada: hombre leyendo de pie en la calle mientras sostiene el hilo de un globo.


martedì 12 agosto 2014

In treno con Bulgakov (dove si parla brevemente di libri di carta e di un viaggio di formazione)


Le vacanze invernali  ce le eravamo proprio conquistate. Con la borsa di studio annuale avevamo diritto di comprare in rubli il biglietto del treno da Mosca a Venezia. Poiché il treno attraversava diversi paesi (uno dei quali oggi scomparso), c’era toccato vagare di ambasciata in ambasciata per ottenere i visti d’ingresso, un ingresso su un treno in corsa con i finestrini bloccati, offuscati dal ghiaccio, che mostravano come unico paesaggio dei conturbanti ghirigori gelati.
Il vagone era affollato. Io mi ero portata dietro un’enorme valigia gonfia di regali, un pollo cotto in una speciale marinatura e un libro destinato a rimanere il mio romanzo del cuore.
Il pollo me l’aveva preparato un amico africano, consapevole del mio totale disinteresse per la cucina, con l’assicurazione che sarebbe durato più giorni senza nuocere al mio stomaco.
Il libro, invece, mi ha accompagnata tutta la vita, l’ho letto più volte in italiano e in russo, e non è ancora finita.
Il viaggio fu lungo, tre giorni e tre notti, e foriero  di  conoscenze. I nostri compagni di cuccetta erano un contadino siberiano e un ragazzino ucraino che indossava un anacronistico completo con cravatta. All’epoca russi e ucraini erano tenuti a non farsi la guerra. Essendo noi le prime straniere dell’Europa occidentale con cui avevano occasione di conversare, ci intervistavano con entusiasmo. Il siberiano era una fonte inesauribile di proverbi, che non sempre capivamo. Mi piaceva molto la sua barba e la cadenza con cui raccontava le sue storie, intervallandole con l’offerta di una grossa fetta di kolbasa.
Giunto il momento di preparare il letto, la prima notte,  i due maschi uscirono galantemente per lasciarci spogliare, ma fu il mio unico tentativo di scandire il tempo. Gli altri giorni li passai dormendo vestita, senza più lavarmi, così, per maggior comodità.
Ancora oggi adoro quel viaggio: il tè che serviva il controllore nei bicchieri di vetro con il manico di peltro e le zollette di zucchero; il tempo che trascorreva fluido, senza propositi,  io con le gambe per aria e il mio libro da leggere;   Budapest che ci accolse elegante  e che sembrava già occidente, e la stazione di Venezia, con la laguna che, ad  arrivarci da tanto lontano, era pure più bella. Se proprio mi sforzo riesco ancora a evocare l’odoraccio che usciva dallo sfiatatoio vicino alla mia cuccetta, olezzo di pelle di salame e piedi sporchi. Non dico di rimpiangerlo, ma non mi disturberebbe avere ventiquattro anni e sentirlo di nuovo.
Tutto ciò lo scrivo un po’ per il piacere personale di rivangare i miei ricordi, ma soprattutto perché il libro che mi accompagnò nel viaggio ce l’ho ancora e non poteva scomparire in nessun modo, dato che parla di manoscritti che non bruciano. È ben vero che l’importante è ciò che porta scritto nelle sue pagine, ma poterlo prendere in mano e sfogliarlo mi dà un’emozione che un e-book (di cui per altro sono una convinta  fruitrice) non mi potrà mai regalare. Il fatto è che un libro di carta, anche se l’ha scritto un altro, ha il vantaggio che fisicamente è tuo. Ma forse è cosa questa che piace solamente ai sognatori, soprattutto se sono di un’altra generazione. Del resto, quando ho bisogno di estraniarmi dal mondo, a me basta guardare un gatto e vedo Begemot.