martedì 30 agosto 2016

L'armadio segreto

Uno dei miei rifugi segreti, da bambina, era un armadio a muro in casa della zia. Ci entravo per starmene a leggere in pace i fumetti dello zio (Diabolik, Lando Tre Palle, Il comandante Mark, Zagor), che li teneva nascosti lì dentro,  e l'Enciclopedia della donna della zia, messa in bella mostra su una mensola vicina.  A quelle letture affiancavo Piccole donne di Louisa May Alcott (non potrò mai perdonare a Jo di essersi tagliata i capelli),  la Divina Commedia  con le illustrazioni di Gustavo Doré, edizione allora  di moda, che non capivo ma che mi affascinava per dimensione, carta patinata, parole sconosciute e immagini cupe. Aveva anche un buon odore colloso. Poi sono passata a Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (per anni il mio libro preferito) e La pelle di Curzio Malaparte, che mi fulminò con l'episodio della vergine di Napoli. Questi due volumi li avevo trovati rovistando nello scatolone magico di una vicina di casa, maestra anziana in pensione e giramondo, che aveva insegnato nei territori che agli inizi degli anni settanta, epoca delle mie incursioni, facevano parte della Jugoslavia. Poi sono arrivati i romanzi di mia madre (lettrice accanita) e con loro  Emma di Jane Austin e Il mulino sulla Floss di George Eliott. Sono cresciuta, in poche parole, leggendo disordinatamente e senza controllo. Letture per adulti e per ragazzi. Ma siccome le interpretavo con uno sguardo di bambina poco maliziosa e molto fantasiosa, per me erano  comunque letture per ragazzi.   

domenica 3 luglio 2016

Post irrisolto


Mi rendo conto che Facebook mi ha distolto dal blog. Peccato. Questo mio blog corsaro che legge solo chi capita di qui per caso e vuole sprecare un momento, questo diario di bordo che è  racconto frammentato e velleitario, narrazione fine a se stessa di cose minime, richiede tempo. Tempo per essere scritto, tempo per essere letto. Facebook che si affida più alle immagini che alle parole, è una spugna, una vetrina che avvince, spreca, consuma. Utile, comodo, ma alle cose comode ci si abitua, non ci si affeziona. 

lunedì 9 maggio 2016

Letture

I tre libri di questo mese:
1) Addio a Berlino, di Christopher Isherwood (ma perché non l'avevo ancora letto?)
2) Una vecchia traduzione di Eridano Bazzarelli del Cappotto di Gogol', con una bellissima introduzione del professore.
3) Metello, di Vasco Pratolini.  
Di certo, non sono alla ricerca dell'ultima uscita. Diciamo che non sono "sul pezzo". Mi pregio, invece, di mantenere un rigoroso disordine nelle mie letture, una specie di disunità di tempo, luogo e spazio. Così da potermi crogiolare nel mio disordine mentale, pescando poi qua e là una parola, un nome, una sensazione. Ecco, se dovessi trovarci un filo conduttore, indicherei che li ho scelti tutti lo stesso giorno in biblioteca. Erano sul tavolo di una biblioteca, sì. E mi guardavano. E poi si sono raccontati. Loro in prima piano e io sullo sfondo. E mi hanno appagata. 

* Addio a Berlino, di C. Isherwood, trad. di Laura Noulian, Adelphi
** Il naso, Il cappotto, di N. Gogol', trad. di Tommaso Landolfi ed Eridano Bazzarelli.
*** Metello, di V. Pratolini, B.U.R.

mercoledì 13 aprile 2016

Riflessi, rifletto

Concludo oggi la traduzione di un libro che mi sta a cuore. In realtà, la traduzione l'avevo consegnata un mese fa. Poi ho rivisto le bozze, parola per parola, e poi ancora altre bozze, quindi abbiamo ragionato con la redattrice sul secondo capitolo in cui l'autrice si diverte a depistare più che mai il lettore, e anche al traduttore è girata non poco la testa.
Una scelta coraggiosa, quella della scrittrice: confondere le tracce stilistiche, giocare con le voci, spezzare la narrazione. Servirebbe, per un romanzo così, un lettore disaffezionato alle cose facili, alla scrittura vaporosa, all'elenco elegante dei sinonimi o alla trama piana che lo conduce per mano, trasmettendogli magari anche qualche nozione. Per questo libro ci vuole un lettore indipendente.
Tradurlo, e chissà se ci sono veramente riuscita, è stato davvero un esercizio di concentrazione.
Ogni volta che rileggo, trovo parole che vorrei cambiare, registri un po' più alti del dovuto o un po' troppo bassi, una ripetizione che mi osserva beffarda a fine pagina, un fraintendimento, una interpretazione forse troppo personale, una battuta di una riga che mi è scivolata via come un pesce.    
Mi muovo verso una meta che si sposta continuamente di qualche centimetro più in là, alla rincorsa di una  perfettibilità costante che è la caratteristica della mia professione, ma anche un riflesso dei tempi.

giovedì 25 febbraio 2016

Manibus date lilia plenis, purpureos spargam flores


E così febbraio, mese delle perdite,  si è portato via anche la mia roccia con le sue mani grandi e consumate. Però è stata coniata una parola nuova, «petaloso», di cui tutti parlano, che è bellissima e mi consola. Per associazione, la trovo vellutata e fragrante e voglio anch'io contribuire alla sua diffusione, benché sottovoce.
 A me, traduttore, il suo suffisso piace. Mi aiuta a evitare rime e assonanze con i tanti ato, eto, ito di cui è disseminata la nostra bella lingua. E mi piace l'eco che ha avuto la risposta della Crusca e anche la maestra che ha posto il quesito. Spero che in molti si siano soffermati a pensare all'uso del suffisso -oso e al fatto che  un sinonimo non  è quasi mai del tutto un sinonimo. In breve, che l'entusiasmo per una bella parola sia occasione di qualche bella scoperta. Se no, pazienza. Chissà, forse resterà l'aggettivo o il suo ricordo. 
 Qualcosa resta sempre.