Mi sono laureata tanti anni fa alla Statale di Milano. Il mio relatore era Eridano Bazzarelli, insigne slavista, docente di letteratura russa e valente traduttore. A lui devo la passione per la traduzione, nata durante un suo seminario sulla traduzione dell'Infinito di Leopardi fatta da Anna Achmatova. Conservo ancora gli appunti. Eridano Bazzarelli era stato internato a Mauthausen. Non era ebreo, era un oppositore del regime, come dice nell'intenso ricordo che ha lasciato all'archivio dell'associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti. Ne estrapolo uno stralcio perché mi ha intenerito in quanto la dice lunga sulla passione per le lingue: "Nella mia situazione di deportato, precipitato in un mondo veramente
alieno, assurdo, feroce, avevo una piccola fortuna: da molti anni
coltivavo (in modo discontinuo ma appassionato) la lingua e la cultura
russe, alle quali mi sarei poi, al mio ritorno, dedicato in maniera più
sistematica. Conoscevo quindi già un po' di russo: e nel campo mi sono
venuto a trovare con una gran massa di Russi, cosa che a me fece
piacere, perché pensavo di avere la possibilità di esercitarmi col mio
scarso e balbettante russo. Ed effettivamente trovai subito un rapporto,
quasi d'amicizia, con alcuni russi, con i quali riuscivo a esprimermi, a
parlare della loro letteratura che in parte conoscevo e che molti di
loro, anche operai, conoscevano. Così in nome di Tolstoj, riuscivo a
rimediare, ogni tanto, qualche pezzo di pane che qualcuno di loro,
spontaneamente, mi dava".
Questo per dire quanto vale la cultura, la conoscenza.
Di Eridano Bazzarelli a me piacciono in particolare le traduzioni delle liriche di Fëdor Tjutčev.
venerdì 27 dicembre 2013
domenica 22 dicembre 2013
Auguri e violini
Tra le copertine dei libri che ho tradotto, una di quelle che preferisco è firmata da Guido Scarabottolo per Guanda. Si tratta della copertina di La stella del mattino, di André Schwarz-Bart (una delle mie rare traduzioni dal francese). Il libro è uscito postumo, curato con amore dalla moglie, e dice tanto del dolore di chi ha vissuto nel ghetto di Varsavia e molte altre cose sul dolore. Consiglierei a tutti la lettura del magico primo capitolo.
Immagino che l'autore della copertina sia partito dall'epigrafe di André Schwarz-Bart stesso: "Si diceva che i violini avessero ali invisibili. E comunque tutti gli angeli del cielo suonavano il violino, non c'erano dubbi al riguardo". Suppongo che poi gli sia venuto in mente un altro artista ebreo, magnifico pittore di visioni, quel Marc Chagall di Vitebsk, villaggio allora sperduto nel grande impero russo.
Poiché le cose che tanto amiamo sono spesso legate a un bel ricordo, Marc Chagall mi riporta alla memoria la lunga fila che feci a poco più di vent'anni, studentessa di russo, per vedere la prima mostra che gli dedicarono a Mosca, ai tempi dell'Unione sovietica. Gelando per ore esposta al vento dell'autunno moscovita, in piedi con un libro in mano. Sembrano passati secoli. Non sono passati neanche tre decenni, ma il nuovo millennio va molto di fretta.
Così, saltellando impudentemente da Varsavia a Vitebsk, da Chagall a Scarabottolo, da un libro, a un quadro, a un violino, a una copertina, giacché la geografia dell'arte passa attraverso esperienze e luoghi molti diversi tra loro, metto insieme un viatico per la fine dell'anno.
Il mio augurio per queste feste di Natale è che tutti, nei momenti di dolore o sperdimento, trovino un violino a cui aggrapparsi per sollevarsi da terra.
Immagino che l'autore della copertina sia partito dall'epigrafe di André Schwarz-Bart stesso: "Si diceva che i violini avessero ali invisibili. E comunque tutti gli angeli del cielo suonavano il violino, non c'erano dubbi al riguardo". Suppongo che poi gli sia venuto in mente un altro artista ebreo, magnifico pittore di visioni, quel Marc Chagall di Vitebsk, villaggio allora sperduto nel grande impero russo.
Poiché le cose che tanto amiamo sono spesso legate a un bel ricordo, Marc Chagall mi riporta alla memoria la lunga fila che feci a poco più di vent'anni, studentessa di russo, per vedere la prima mostra che gli dedicarono a Mosca, ai tempi dell'Unione sovietica. Gelando per ore esposta al vento dell'autunno moscovita, in piedi con un libro in mano. Sembrano passati secoli. Non sono passati neanche tre decenni, ma il nuovo millennio va molto di fretta.
Così, saltellando impudentemente da Varsavia a Vitebsk, da Chagall a Scarabottolo, da un libro, a un quadro, a un violino, a una copertina, giacché la geografia dell'arte passa attraverso esperienze e luoghi molti diversi tra loro, metto insieme un viatico per la fine dell'anno.
Il mio augurio per queste feste di Natale è che tutti, nei momenti di dolore o sperdimento, trovino un violino a cui aggrapparsi per sollevarsi da terra.
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lunedì 16 dicembre 2013
Dal baule della nonna: racconto a episodi stile torta da credenza. IX
IX.
Mi mancarono molte cose nella mia nuova vita. Ma non quelle che mi sarei aspettata. Perché, più che per le persone, mi struggevo per gli oggetti, le situazioni. La città non mi piacque granché. Quello che mi era sembrato grande, ora era piccolo in confronto a quanto avevo perduto. La stanza da letto condivisa, ad esempio. Nel grande lettone dormivamo in tre. Il materasso era gelido e ci scaldavamo strofinandoci i piedi. Il calore del prete sotto le coperte durava poco e non bastava per tutte le sorelle. L’odore della brace ci rimaneva addosso come una fragranza casereccia. Come fossimo fatte di pane. Era allora, prima di cedere al sonno, che ci facevamo le confidenze più intime. Si riducevano a poco, vista la nostra ingenuità, che non vuol dire, come ho scoperto in seguito, non assaporare le cose della natura. Era il modo di affrontarla, specchiato come la superficie di un lago. La fiducia che la vita non ci avrebbe tradite mai, offrendoci un marito amato, dei pargoli sani e ben pasciuti. Qualche abito da sfoggiare la domenica e ai pranzi delle feste. A nessuna di noi andò esattamente così. E in fondo fu una fortuna. La terra ci offriva le sue sfaccettature, la sua superficie sbalzata, il suo paesaggio variegato.
Mi mancarono molte cose nella mia nuova vita. Ma non quelle che mi sarei aspettata. Perché, più che per le persone, mi struggevo per gli oggetti, le situazioni. La città non mi piacque granché. Quello che mi era sembrato grande, ora era piccolo in confronto a quanto avevo perduto. La stanza da letto condivisa, ad esempio. Nel grande lettone dormivamo in tre. Il materasso era gelido e ci scaldavamo strofinandoci i piedi. Il calore del prete sotto le coperte durava poco e non bastava per tutte le sorelle. L’odore della brace ci rimaneva addosso come una fragranza casereccia. Come fossimo fatte di pane. Era allora, prima di cedere al sonno, che ci facevamo le confidenze più intime. Si riducevano a poco, vista la nostra ingenuità, che non vuol dire, come ho scoperto in seguito, non assaporare le cose della natura. Era il modo di affrontarla, specchiato come la superficie di un lago. La fiducia che la vita non ci avrebbe tradite mai, offrendoci un marito amato, dei pargoli sani e ben pasciuti. Qualche abito da sfoggiare la domenica e ai pranzi delle feste. A nessuna di noi andò esattamente così. E in fondo fu una fortuna. La terra ci offriva le sue sfaccettature, la sua superficie sbalzata, il suo paesaggio variegato.
venerdì 13 dicembre 2013
Reblogueando.... In bilico tra due lingue
Si può scrivere in una lingua diversa dalla nostra lingua madre?
Certamente è più semplice scrivere in una lingua diversa dalla lingua madre che tradurre in una lingua diversa dalla lingua madre. Nel primo caso, sei tu che scegli le parole che vuoi dire e che conosci, nel secondo devi riprodurre fedelmente le parole altrui, tenendo conto della forma che l'autore ha usato.
Lo dice anche chi scrive in due lingue diverse.
In vilo entre dos idiomas con Teresa Dovalpage
Tradurre un romanzo spagnolo o russo in italiano è nelle mie corde, tradurre un romanzo italiano in spagnolo o in russo sarebbe un'impresa titanica (sto parlando di un testo letterario, non di un contratto). Sono invece in grado di parlare o scrivere in spagnolo o in russo. Sembra una banalità, e lo è, ma solo se ci hai riflettuto bene.
Certamente è più semplice scrivere in una lingua diversa dalla lingua madre che tradurre in una lingua diversa dalla lingua madre. Nel primo caso, sei tu che scegli le parole che vuoi dire e che conosci, nel secondo devi riprodurre fedelmente le parole altrui, tenendo conto della forma che l'autore ha usato.
Lo dice anche chi scrive in due lingue diverse.
In vilo entre dos idiomas con Teresa Dovalpage
Tradurre un romanzo spagnolo o russo in italiano è nelle mie corde, tradurre un romanzo italiano in spagnolo o in russo sarebbe un'impresa titanica (sto parlando di un testo letterario, non di un contratto). Sono invece in grado di parlare o scrivere in spagnolo o in russo. Sembra una banalità, e lo è, ma solo se ci hai riflettuto bene.
venerdì 6 dicembre 2013
Finale di romanzo quasi in forma di zarzuela...
tratto da un libro di Teresa Dovalpage, che nel suo cubano era Muerte de un murciano en La Habana, mentre in italiano è Morte di uno spagnolo all'Avana, perché si è ritenuto più immediato questo titolo per un lettore italiano.
Se potessi ancor librarmi
in quel blu tanto agognato
non tornando a rammentarmi
della merda che ho lasciato.
Far rotta verso il cielo
e non destarmi mai più.
Morir sognando che volo.
(Traduzione di Silvia Sichel)
Si pudiera remontarme
al azul que imaginé
y no volver a acordarme
de la mierda que dejé.
Coger el rumbo del cielo
y no despertar más nunca.
Morir soñando que vuelo
(Originale di Teresa Dovalpage)
Se potessi ancor librarmi
in quel blu tanto agognato
non tornando a rammentarmi
della merda che ho lasciato.
Far rotta verso il cielo
e non destarmi mai più.
Morir sognando che volo.
(Traduzione di Silvia Sichel)
Si pudiera remontarme
al azul que imaginé
y no volver a acordarme
de la mierda que dejé.
Coger el rumbo del cielo
y no despertar más nunca.
Morir soñando que vuelo
(Originale di Teresa Dovalpage)
martedì 3 dicembre 2013
Giallo di vergogna
Una volta ho scritto un racconto giallo. L'ho ritrovato oggi dopo anni, mentre facevo ordine tra i miei file. Temo di averlo presentato a un concorso, un'estate che avevo poche traduzioni. Spero di aver usato uno pseudonimo. Metto qui le ultime righe, giacché sono le uniche che ritengo di poter salvare:
" Lavoro da anni con la gente di un paese di affabulatori. Il gelo e le giornate brevi stimolano la voglia di raccontare e di ascoltare. Ho deciso di credere, una volta per sempre, alla storia di Anna e Nikolaj. A suo modo, il finale era sentimentale e non avevo bisogno d’altro."
Per completezza di informazione, gli assassini erano Anjuta e Kolja.
" Lavoro da anni con la gente di un paese di affabulatori. Il gelo e le giornate brevi stimolano la voglia di raccontare e di ascoltare. Ho deciso di credere, una volta per sempre, alla storia di Anna e Nikolaj. A suo modo, il finale era sentimentale e non avevo bisogno d’altro."
Per completezza di informazione, gli assassini erano Anjuta e Kolja.
venerdì 29 novembre 2013
Dal baule della nonna: racconto a episodi stile torta da credenza. VIII
Ero partita con una borsa rigonfia ricamata a punto e croce.
Aveva lo sfondo nero e un disegno a fiori scarlatti. Era
stata della madre della mamma, e lei l’apprezzava molto. L’ho conservata a
lungo e ora è eredità di una nipote. Gli angoli tondeggianti si sono spellati,
ma in alcuni punti il lavoro di cucito è ancora intatto. Si riconosce la mano
di una volta. Con i manici di cuoio
portavo qualche ricambio di biancheria, due o tre maglioni fatti a mano,
calzature più eleganti delle scarpe con le stringhe che indossavo, e un paio di
meravigliose calze di seta fumé. Nel cuore invece racchiudevo una sacca di
desolazione. Avevo finto di comprendere le ragioni materne, ma l’avvilimento mi
abbatteva. Al momento mi pareva che le cose da rimpiangere fossero ben più di
quelle per cui gioire.
Mi sarebbe mancato il sentimento, struggente e intrigante,
che provavo per mio fratello Primo, il quale, da bravo contadino con
l’occhio lungo, di qualcosa doveva
essersi accorto. Non volevo perdere l’affetto delle mie sorelle, lo spazio dei
campi intorno a casa, gli odori dell’aperta campagna, le rare carezze ruvide e
impacciate di mio padre. Potevo invece rinunciare con una certa sventata
allegria al lavoro dalla signora, grassa matrona paesana paludata in vesti
scure, dal ventre che s’indovinava flaccido, non cattiva ma munifica di ordini
perentori, continue pretese.
lunedì 25 novembre 2013
Un arcobaleno tutto rosso (giornata contro la violenza sulle donne)
Anche io voglio contribuire con "mi granito de arena": un sandalo estivo rosso e un po' frusto che è stato molto usato dal mio piede di donna.
Un tempo era un bel sandalo, comprato a Firenze. Il ricordo della sua passata avvenenza servirà a far perdonare la bruttezza della foto.
Lo dedico a tutte le donne che hanno subito o subiscono silenziosamente violenza. Un abbraccio.
Un tempo era un bel sandalo, comprato a Firenze. Il ricordo della sua passata avvenenza servirà a far perdonare la bruttezza della foto.
Lo dedico a tutte le donne che hanno subito o subiscono silenziosamente violenza. Un abbraccio.
venerdì 22 novembre 2013
Tre sdrucciole multiple e perfide per salvarsi l'anima
Che difficile tradurre la letteratura per ragazzi (cioè per tutti noi ragazzi più o meno cresciuti). Nel Bosco dei sogni di Antonio R. Almodóvar, il Cavaliere Indifferente gioca alle Tre sdrucciole multiple e ritmicamente rimate con un giovane principe seduttore. E il traduttore, dizionario alla mano, si mette di buona lena a cercare le parole sdrucciole ma anche rimate (olo, ido, ico...) per non dover cedere la propria anima al diavolo.
«Perfetto. Io dico una sdrucciola trisillabica e tu rispondi con altre due, con le stesse vocali o perlomeno che ne riprendano due nella prima e nella terza sillaba. Ci sei? Per esempio: se io avessi detto solamente “pargolo”, tu avresti potuto rispondere “pallido” o “scapolo”. Hai capito?»
«Perfetto. Io dico una sdrucciola trisillabica e tu rispondi con altre due, con le stesse vocali o perlomeno che ne riprendano due nella prima e nella terza sillaba. Ci sei? Per esempio: se io avessi detto solamente “pargolo”, tu avresti potuto rispondere “pallido” o “scapolo”. Hai capito?»
«Credo di sì. Ma cosa vinco se
vinco?» domandò il principe in un tentativo di pleonasmo, a mo’ di riscaldamento.
«Oh, non è un granché» meditò il
retore: «“Cosa vinco se vinco?”… ma non sei privo di qualità. Mettiamo… che
anche se vinci non convinto di vincere, vincerai ciò cha avresti perduto
perdutamente: la tua anima!»
«Ma se un momento fa hai detto che
di quella pallida lucciola squallida te ne infischiavi…»
«Be’, ma è pur sempre qualcosa.
Comunque, facciamo così: diciamo allora che se perdi tre volte, me la tengo
comunque. Sei d’accordo? Sì o sì?» L’altro non poté far altro che accettare
controvoglia una alternativa tanto assurda. «Anzi, aggiungerò qualcos’altro. Se
tu mi batti una sola volta, il gioco finisce.» Juan sembrò più sollevato.
«Benissimo. Allora, ecco la seconda: Magico.»
«Bene, bene…»
«Ora tocca a me…» si entusiasmò il
mio principe. «Metodo!»
«Oh, troppo facile: Reprobo, Medico!
Sta a me: Arido!»
«Ehm…» esitò pericolosamente lo sfidato: «Valido,
Pallido!»
«Non vale. “Pallido” è già stato detto. Perdi. Ancora io: Fulgido!»
«Fulgido? Rustico, Putrido! E io dico: Algido!»
«Uhm…Infulo, Pubico!»
«Da dove hai tirato fuori quella parolina? “Infulo” non
esiste. E perdi la seconda volta. Attenzione adesso: Regolo.»
«Reprobo, Perfido! Sta a me: Succubo.»
«Non esiste.»
«Sì, invece!» protestò Juan.
«No!»
«Controlla nel Libro di Ermes!»
«Non gridare!» sbraitò allora
Satanasso. Un silenzio minaccioso calò tra loro. Il mio principe non osava
nemmeno alzare la testa, tuttavia non si scusò. Alla fine, l’altro riprese:
«Credi che io sia uno stupido, rigido, stolido? Tu vuoi solo vedere quel libro, per cercare di rubarmelo!»
«Io dico solo che quella parola
esiste» ribatté ancora Juan, benché in tono più tranquillo. «In realtà, tu non
vuoi che esista, proprio per via del suo significato» azzardò di nuovo lo
sfidato.
«Cosa? Cosa diavolo significa “succubo”?»
«Proprio questo: diavolo.
Cercalo.»
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