lunedì 28 dicembre 2015

Cose belle di fine anno


Magnus: autoritratto giovanile, fine anni Cinquanta. Inedito (© Eredi Raviola).


1) Emma, piccola vicina al letto alto, che abbraccia il nonno e gli spiega che purtroppo non può tenergli compagnia e deve tornare a casa, come se il nonno capisse, e allora la zia sa che c'è ancora qualcuno che ha bisogno di lui.

2) La gatta che si ammala e diventa cieca e che nella sua fragilità è tenera e bisognosa e ancora più amica. La gatta è il mio logo. Perché il gatto (la gatta) di un traduttore è ben più di un gatto. È un collega che si fa i fatti suoi. Un compagno di riunioni. Uno che mentre tu fai la pausa caffè, lui (lei) fa la pausa crocchette. È come il gatto del disegnatore di fumetti. Come si può ben vedere dal mirabile autoritratto di Magnus* (grande, grande!) in apertura del post. Meno male che ho senz'altro alcuni mesi per godermela ancora, la mia gatta. Mi piace quella gatta, perché è di carattere bizzarro e irascibile. 

3) Il mio bellissimo computer nuovo che, mal compreso, mi fa perdere sei pagine di lavoro, un pomeriggio intero di traduzione. Però, siccome ho appena visto un film sulla devastazione della guerra in Bosnia, vado a letto senza recriminare.

4) Una traduzione rifiutata per mancanza di tempo. Pagata poco profumatamente e di un libro brutto. Ma se avessi avuto tempo, l'avrei accettata. Era un nuovo contatto. Poteva essere un buon contatto per altri futuri lavori. O comunque un contatto per altri futuri lavori. Quindi sono dispiaciuta. Quando avrò finito i libri belli sarò triste senza quello brutto, che forse in fondo mi sarei divertita a tradurre. E lo avrei fatto come se fosse stato un libro bello. E poi con questo mio mestiere non si sa mai. Chissà perché provo uno stupido senso di sollievo.


*Magnus e l'altrove, Favole, Oriente, leggende. A Bologna fino al 6 gennaio.





domenica 6 dicembre 2015

Un dettaglio


 Dalla bella mostra che Bologna dedica alla famiglia Brueghel e ai capolavori dell'arte fiamminga,* torno a casa con un particolare in tasca. L'ho trovato nell'ultima sala, alla fine di un percorso che è stato un tuffo nel meraviglioso. Sta nel quadretto sulla parete di sinistra, ad affiancare il più celebre Danza nuziale all'aperto, ed è un dipinto di Pieter Brueghel il Giovane: La sposa di Pentecoste. In primo piano si sta preparando il corteo delle contadinelle vestite a festa che accompagnano la ragazzina prescelta. Sono visetti tondi, un po' caricaturali, come nello stile fiammingo. Li guardavo e pensavo al pittore che girava per le sagre paesane in cerca di soggetti per i suoi dipinti; passavo in rassegna insieme a lui la coppia di eleganti notabili, il neonato piscione, i botoli festanti, le  campagnole carnose, i villici sbracati. E poi ho incontrato lei. 
Piccola, che si copre la testa con il gonnellone, in mancanza di un più consono scialle, e mette in mostra la sottanina lacera e la scarpa rattoppata e scalcagnata di bambina più povera di tutte e senza nessuna speranza di essere la protagonista della celebrazione;  e nondimeno per sempre perpetuata, priva di nome e di un vero volto,  dallo sguardo dell'artista che, in un pomeriggio di sole autunnale, me l'ha sparata in faccia e mi ci ha riempito gli occhi, epitome dell'iniquità della vita, eppure dolce.


* Mostra Brueghel, I capolavori dell'arte fiamminga, Palazzo Albergati, Bologna, fino al 26 febbraio 2016