Nel mondo dei vivi mi
chiamavo Vittoria. Ero la figlia maggiore di una giovane coppia innamorata, in
tempi in cui i sentimenti tintinnavano negli stomaci vuoti come una moneta fasulla. Tutto lo slancio
della loro passione si stemperava in un piatto di uova e cipolle condiviso con
i figli. Papà era ignorante. Un uomo veramente buono. Lavorava da mattina a
sera in una stalla. Tornava a casa con un aroma di fieno caldo addosso e le suole
sporche degli escrementi delle vacche. Di nome faceva Ermete, ma l’unico
messaggio che trasmetteva era la sua povertà. Infatti tutti lo conoscevano come
Tino. Una sillaba in più era solo un peso da portare. Anche se Tino aveva un
gran fisico. Due spalle larghe così. Da lavoratore. E due braccione che si
gonfiavano sotto sforzo. Per niente
grossolano. Un viso dolce con le ciglia lunghe, le labbra carnose e tutti i
denti in bocca. Montato su un collo taurino. Doveva essere un contrasto
meraviglioso agli occhi miopi della mamma.
A lei sono sempre piaciuti gli accostamenti azzardati, anche nel
vestire. Il rosso con il marrone per esempio. Perché da adulta possedeva solo
una gonna e un paio di maglie decenti.
Una scelta obbligata, come tante nella vita.
La mamma ci vedeva poco e i suoi occhi neri, defraudati
dalla miseria del supporto degli occhiali, avevano l’espressione tenera e un
po’ infantile dei cavalli chiusi nella stalla. Portava i capelli molto lunghi,
ma si capiva solo alla sera, quando li scioglieva per andare a letto. Di giorno
li fissava con le forcine in una crocchia folta, tonda come una ciambella, una
grossa torta da credenza. Era la figlia del beccaio e da bambina era stata
benestante. Ossia mangiava la carne dura rimasta invenduta e a Natale aveva
sempre un abitino nuovo. Di velluto verde o marrone. E un ricciolo a banana
sulla fronte. Sapeva leggere e scrivere. E anche far di conto. O meglio
conosceva addizione e sottrazione. Il più e il meno. La sua educazione si era
fermata lì. La madre della mamma, la mia nonna, era morta quando lei aveva otto
anni. E la matrigna, sfinita da tanti pargoli non suoi, aveva bisogno di un
aiuto in casa.