venerdì 30 agosto 2013

Dal baule della nonna: racconto a episodi stile torta da credenza. I.



Nel mondo dei vivi mi chiamavo Vittoria. Ero la figlia maggiore di una giovane coppia innamorata, in tempi in cui i sentimenti tintinnavano negli stomaci vuoti  come una moneta fasulla. Tutto lo slancio della loro passione si stemperava in un piatto di uova e cipolle condiviso con i figli. Papà era ignorante. Un uomo veramente buono. Lavorava da mattina a sera in una stalla. Tornava a casa con un aroma di fieno caldo addosso e le suole sporche degli escrementi delle vacche. Di nome faceva Ermete, ma l’unico messaggio che trasmetteva era la sua povertà. Infatti tutti lo conoscevano come Tino. Una sillaba in più era solo un peso da portare. Anche se Tino aveva un gran fisico. Due spalle larghe così. Da lavoratore. E due braccione che si gonfiavano sotto sforzo.  Per niente grossolano. Un viso dolce con le ciglia lunghe, le labbra carnose e tutti i denti in bocca. Montato su un collo taurino. Doveva essere un contrasto meraviglioso agli occhi miopi della mamma.  A lei sono sempre piaciuti gli accostamenti azzardati, anche nel vestire. Il rosso con il marrone per esempio. Perché da adulta possedeva solo una gonna e un paio di  maglie decenti. Una scelta obbligata, come tante nella vita. 

La mamma ci vedeva poco e i suoi occhi neri, defraudati dalla miseria del supporto degli occhiali, avevano l’espressione tenera e un po’ infantile dei cavalli chiusi nella stalla. Portava i capelli molto lunghi, ma si capiva solo alla sera, quando li scioglieva per andare a letto. Di giorno li fissava con le forcine in una crocchia folta, tonda come una ciambella, una grossa torta da credenza. Era la figlia del beccaio e da bambina era stata benestante. Ossia mangiava la carne dura rimasta invenduta e a Natale aveva sempre un abitino nuovo. Di velluto verde o marrone. E un ricciolo a banana sulla fronte. Sapeva leggere e scrivere. E anche far di conto. O meglio conosceva addizione e sottrazione. Il più e il meno. La sua educazione si era fermata lì. La madre della mamma, la mia nonna, era morta quando lei aveva otto anni. E la matrigna, sfinita da tanti pargoli non suoi, aveva bisogno di un aiuto in casa.

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