domenica 21 settembre 2014

L'estate finisce

in una libera interpretazione che spazia da Pessoa ai comportamentisti, in un confuso mix domenicale.

“Los viajes son los viajeros. Lo que vemos no es lo que vemos, sino lo que somos.”
Fernando Pessoa

Del resto, il mondo lo facciamo noi, con i nostri occhi. E se cambia il nostro modo di guardare il mondo, cambia anche il mondo.

martedì 9 settembre 2014

Il diavolo

Il diavolo.Sarà che sto ascoltando alla radio La notte sul monte Calvo di Modest Musorgskij e che ho appena visto l'incantevole doodle di Google su Lev Tolstoj disegnato da Roman Muradov, ma la voglia di accennare a  una piccola traduzione che feci tanti anni fa del Diavolo, un racconto del grande russo, è irresistibile. Tradurre Tolstoj è stato un piacere di quelli veri. Tradurre "quel Tolstoj", l'uomo pieno di dubbi in lotta con la propria sensualità, ancor di più. Ogni volta che rileggo le pagine dei suoi tanti capolavori penso che non conosco (mi riferisco naturalmente alle mie letture) altro scrittore tanto denso, complesso, classico, così perfetto. Mi ricordo di quando lessi per la prima volta Anna Karenina e di come rimasi senza fiato insieme ai cavalli impegnati nella corsa. Lev Tolstoj è un mondo. Una felicità poter tradurre nella mia lingua un piccolo pezzetto  di quel mondo immenso.

lunedì 8 settembre 2014

Ragioni profonde per guardare con sospetto agli acronimi




Telefonare a casa dall'Unione Sovietica era una piccola impresa. Non si poteva chiamare all'estero da qualsiasi telefono pubblico. Bisognava andare in Posta (che conservava la sua funzione di posta e telegrafo), mettersi in fila, prenotare la chiamata, pagare in base ai minuti richiesti e quindi sedersi nella vasta sala d’attesa (andavo spesso alle Poste centrali) cercando di affinare l’udito per non perdere il turno quando urlavano malamente il tuo nome e il paese chiamato. Ci si doveva allora precipitare nella cabina, afferrare una grossa cornetta del telefono da cui la voce della centralinista gracchiava il numero per passarti la linea.  In realtà era un’esperienza bellissima e molto desiderata.  La cabina aveva una comoda sedia e io prenotavo almeno 20 minuti ogni volta, per sentire vicine le voci dei miei cari. Mi sembrava di essere in un film di Lubitsch.  
Nell’attesa di sentire echeggiare il proprio cognome, soprattutto nell’ufficio postale vicino all’istituto, sempre gremito di studenti di ogni dove, si faceva conoscenza. In piedi davanti a me, quella volta, c’era un ragazzo di colore, era a Mosca per studiare medicina. Indossava un colbacco con enormi paraorecchie e aveva un sorriso simpatico. Non ricordo più il suo nome ma la figuraccia di cui mi resi protagonista mi è rimasta impressa. Quelli erano tempi  in cui, piuttosto che ammettere un'ignoranza, preferivo correre il rischio di rendermi ridicola. Comunque, cominciammo a chiacchierare in russo, e lo studente mi disse che veniva dallo JUAR. Cercai di incassare la notizia senza fare una piega, ma mi si dipinse in faccia un grosso punto interrogativo. Sai dov’è?,  chiese. Ma certo, affermai, pur non avendone la più pallida idea. E com’è in italiano? In italiano è esattamente uguale. Sbarrò gli occhi, divertito. In italiano si dice come in russo? Com’è possibile, JUAR è una sigla: Južno-Afrikanskaja Respublika, Repubblica Africana del Sud.  Davvero è uguale in italiano? Più o meno, confermai serafica (soddisfatta nell’intimo della nuova nozione acquisita): in italiano si dice  Sudafrica. Lui finse con molto stile che tutto quadrasse. Tuttavia, da allora mi accerto sempre con la massima cura di cosa si nasconda dietro i subdoli acronimi.