Concludo oggi la traduzione di un libro che mi sta a cuore. In realtà, la traduzione l'avevo consegnata un mese fa. Poi ho rivisto le bozze, parola per parola, e poi ancora altre bozze, quindi abbiamo ragionato con la redattrice sul secondo capitolo in cui l'autrice si diverte a depistare più che mai il lettore, e anche al traduttore è girata non poco la testa.
Una scelta coraggiosa, quella della scrittrice: confondere le tracce stilistiche, giocare con le voci, spezzare la narrazione. Servirebbe, per un romanzo così, un lettore disaffezionato alle cose facili, alla scrittura vaporosa, all'elenco elegante dei sinonimi o alla trama piana che lo conduce per mano, trasmettendogli magari anche qualche nozione. Per questo libro ci vuole un lettore indipendente.
Tradurlo, e chissà se ci sono veramente riuscita, è stato davvero un esercizio di concentrazione.
Tradurlo, e chissà se ci sono veramente riuscita, è stato davvero un esercizio di concentrazione.
Ogni volta che rileggo, trovo parole che vorrei cambiare, registri un po' più alti del dovuto o un po' troppo bassi, una ripetizione che mi osserva beffarda a fine pagina, un fraintendimento, una interpretazione forse troppo personale, una battuta di una riga che mi è scivolata via come un pesce.
Mi muovo verso una meta che si sposta continuamente di qualche centimetro più in là, alla rincorsa di una perfettibilità costante che è la caratteristica della mia professione, ma anche un riflesso dei tempi.
Mi muovo verso una meta che si sposta continuamente di qualche centimetro più in là, alla rincorsa di una perfettibilità costante che è la caratteristica della mia professione, ma anche un riflesso dei tempi.