domenica 10 novembre 2013

Dal baule della nonna: racconto a episodi stile torta da credenza. VII


VII
Primo e Giulia si rotolavano spesso nella stalla dei cavalli, che la signora da cui a giorni alterni andavo a servizio si ostinava a chiamare scuderia, o nello scantinato della casa padronale, una decorosa villa a tre piani che si affacciava alla corte con la porta a vetri dalle persiane di legno. Le finestre, soprattutto alla vigilia di Natale e nel veglione dell’ultimo dell’anno, si accendevano di riflessi che ci facevano sperare, noi della cascina grande,  in una ricchezza di là da venire. Le ragazze spiavano trasognate gli abiti da provincia sobria, lungi dal boom economico che l’avrebbe orientata verso scelte più barocche. I ragazzi invidiavano le pose arroganti degli uomini in completo scuro. Aspiravamo, insomma, al meglio che c’era a disposizione. Digiuni di viaggi, di orizzonti allargati, inesperti di riviste patinate, curiosi alla nostra maniera di qualche moda occhieggiata nelle rare puntate in città. Attratti dalle auto. Come quella del pasticcere.

Quell’uomo grosso, con il cappello a tesa larga sulla chioma rossiccia, osservava con uno sguardo celeste  la varietà dell’incarnato dei figli della sua miglior fornitrice. Nei miei occhi neri e nei riccioli inanellati, rimpianse la giovinezza di Milù. All’epoca era raro che un uomo temesse la vecchiaia, la libertà sua era infinita, mentre la mamma sapeva, anche senza bisogno del tanto decantato sesto senso, che il tempo per lei, femmina procreatrice, era due volte più breve. Mi amava molto, ma era di indole pratica. Per la sua primogenita desiderava una buona occasione. La città in cui mi avrebbe mandata non era certo la capitale di un impero e il pasticcere fulvo non somigliava al principe Andrej, ma era delicato e gentile, nonostante la stazza da mangiatore di pastella fritta nello strutto, e disposto a farmi studiare. A darmi un mestiere e, visto che c’era, a farmi un corredo.

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