Quando vado al cinema e vedo un film che mi piace, porto sempre a casa qualcosa.
Una sensazione, un dejà vu, un sorriso, una lacrima all'angolo dell'occhio,
un'idea, una voglia, un colore, una nuova energia, a volte anche la convinzione
che tutto sia possibile. Dal bel film di Ermanno Olmi porto via un intenso
sentimento di pena. Dopo aver visto decine di capolavori in cui la guerra
suscitava orrore e raccapriccio, ieri sera davanti allo schermo di un piccolo
cinema del centro mi sono perfettamente immedesimata nei soldati raggelati
dentro un buco, nei loro panni inadeguati, nell'attesa di una lettera, nella
consolazione di un topolino che rosicchia una pallina di pane, nella magia di
un larice senza foglie che brilla come oro, nella bellezza di una volpe, nella paura impotente e
nell'ingiustizia di non avere scelta. Noi, italiani radicati nel territorio, veniamo
da lì. Poveri soldatini, poveri esseri umani.
torneranno i prati è scritto in
minuscolo, parla di un episodio minimo, una sola ora della vita di un
manipolo di uomini, e forse non è un film perfetto, ma è grandissimo, pieno di
una poesia dolente, con una fotografia impeccabile, meravigliosa.
Allora, da Straduttore, rilancio l'espressione «provare pena» nel senso di
mettersi nei panni degli altri e di lasciarsi andare ogni tanto alla retorica
di essere umani, recuperando la memoria.
Allego anche un consiglio, una lettura, un libro che ho tradotto anni fa, e non so se in italiano si trova ancora, ma in
spagnolo senz'altro sì. Si intitola L’Ombra
dell'aquila (La sombra del águila)
è di Arturo Pérez Reverte. Altri dolori, altri ghiacci, le stesse assurdità. Lì
affrontate con una qualche ironia. L'ironia involontaria e feroce della Storia.
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