lunedì 28 settembre 2015

Non per soldi ma per denaro


Racconto una storia che per me è finita «bene». Bene tra virgolette perché poteva finire meglio. Però, insomma, non è finita malaccio. Poteva andare peggio, in poche parole. Risulta che (come direbbero gli spagnoli) un paio d'anni fa una casa editrice mi propose di acquistare da me i diritti di una vecchia traduzione. Ne fui molto contenta: di rivendere una traduzione fatta lustri prima non capita tutti i giorni. Accettai. Tempo dopo mi arrivò un contratto. Era talmente fumoso che lo feci riscrivere. Anche il nuovo contratto aveva qualche legnosità, ma comunque me lo avevano rifatto e decisi che poteva andare. Dopo qualche tempo la redattrice che seguiva il lavoro mi chiese se avevo i file originali, per poter pubblicare prima il libro. Sparsi in giro - la traduzione era stata scritta su un computer ormai antico - ce li avevo. In fondo, mi sembrò una buona occasione per controllare davvero  il lavoro del redattore su una traduzione dei miei quasi esordi, visto che l'editore che l'aveva pubblicata la prima volta non dava le bozze ai traduttori. Rilessi riga per riga i miei file confrontandoli con la traduzione pubblicata. La revisora dell’epoca aveva lavorato bene. I suoi erano stati interventi puntuali, quelli giusti, senza esagerare. Ne aggiunsi qualcuno mio, una parola cambiata per evitare un'assonanza, per precisare un termine. Mi prese tempo, non me l'aveva chiesto nessuno, ma non era lavoro sprecato. Non riuscirei mai, avendone la possibilità, a non rivedere una vecchia traduzione prima che vada in stampa di nuovo. Consegnai tutto prima di Natale. Passata la data di scadenza del pagamento scritta sul contratto, contattai il direttore editoriale. Mi rispose piccato che non era lui che si occupava della parte amministrativa. Chi se ne occupava mi rispose che purtroppo al momento non potevano dirmi quando mi avrebbero pagato. Attesi. In vent'anni di traduzioni non mi è mai capitato che non mi pagassero. Per quella casa editrice, però, non avevo mai lavorato e stupidamente non mi ero informata. Si arrivò all'estate del 2014. Minacciai di far inviare lettere dall'avvocato. Provai con le telefonate. Niente da fare. La somma che mi dovevano non era abbastanza alta da giustificare l'intervento di un avvocato, pensavo. Mio marito mi convinse del contrario. L'avvocato mandò quattro lettere. Niente. Neanche un cenno. Lo scorso maggio decisi per un ultimo tentativo. Scrissi una mail di questo tenore:
«Gentili signori,
ho fatto spedire quattro lettere dal mio avvocato senza che mi si degnasse di una risposta.
Lo trovo, come potrete ben capire, scorretto. Non solo perché mi avete proposto di acquistare i diritti della mia traduzione, ma anche perché mi avete chiesto i file originali.
Ora mi aspetterei una risposta in tono educato e non frettoloso. E possibilmente non il silenzio.
Ancora meglio un bonifico.»  
In giugno è arrivato il bonifico. Le spese dell’avvocato sono rimaste a carico mio, ma non importa.
Fine.

*Foto: murales a Reggio Emilia, dell'autore si vedono le iniziali del nome.

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