martedì 8 ottobre 2013

Menù "à la carte" del tipografo (o di come si può impazzire passando un'estate a tradurre un bel libro di cucina).



Non me ne frega molto dei tortelli.
Mi piacciono, ma come il borš, 
il tonno e il fegato impanato.
So riconoscere un ristorante buono da uno scarso
un vino meritevole per averlo spesso e con  gioia degustato.




Mi piace la cucina saporita, poco la pizza (che mi annoia come tutti i carboidrati), ma siccome si mangia in compagnia, ben venga la pizza (o una frittura di paranza).
Apprezzo il cous cous per i suoi profumi, l'insalata e la birra artigianale.
Se ho pochi soldi mi compro un bel panino col salame. L’aragosta la mangio al cafè Balear di Minorca. Ordino, a volte, vegetariano, cinese, giapponese, ma adoro los callos a la madrileña e il bollito all’italiana, i piedi, il muso e il resto del maiale.
Al mare prendo pesce, posso fare a meno del dessert, i dolci non sono una passione, a parte il cioccolato: quando mi sento giù di morale, sono certa che non mi farà male.
Non vivo invece senza il caffè. La moka in viaggio fa parte del bagaglio. Però bevo anche ouzo, porto, un bicchiere di rioja: la sangria, devo dire, la trovo poca cosa.
Se in casa non c’è altro, apro un sacchetto di cibo surgelato perché è pratico e non mi ha finora avvelenato.
Non mi piace cucinare: della roba da mangiare mi garba soprattutto l'aspetto meravigliosamente conviviale.
Del resto, in questo mondo ormai globalizzato,  ho lo stomaco più moderno del creato

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