Due parole, dunque, sul russkij mat, il turpiloquio russo.
Il russkij mat, più che un gergo, è una lingua che si è sviluppata su un binario parallelo a quello della lingua istituzionale. Ha origini antiche, si dice risalga alla Russia precristiana. Per un certo periodo, è stato il linguaggio distintivo del mondo malavitoso, finendo per essere rappresentativo di una certa fascia sociale. La censura sovietica lo ha fortemente contrastato. Con la glasnost' - la libertà di parola - e lo sfaldarsi del blocco sovietico, ha dilagato sui giornali, nei programmi televisivi, nei blog. E nei romanzi. E da lì, lo si vuole pateticamente scacciare con una legge.
Il diciassettenne Puškin iniziava così il suo divertente poemetto licenzioso L'ombra di Barkov, la sua opera più colpita dalla censura zarista, e in effetti decisamente oscena:
al bordello di via Meščanskaja,
s'incontrarono con uno spretato
un tenentino degli ulani,
un poeta, di Mosca un bellimbusto,
uno scrivano del Senato,
un bottegaio della terza gilda,
e due soldati tutti sbronzi.
Bevve ciascuno un calice di ponce,
giacque con una puttanella....
(trad. C. De Michelis)
Non creda il poeta di essersi liberato della censura: quella sua puttanella, bljad', è destinata a cadere ancora una volta nelle sue maglie.
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